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Cos’è lo skill mismatch?
Il termine sembra molto tecnico e magari lontano dalla quotidianità ma non è così: si definisce skill mismatch il divario che intercorre tra le competenze richieste e quelle disponibili sul mercato del lavoro.
Questa discrepanza non è solo teorica o astratta. La società di consulenza strategica Boston consulting group (Bcg) nel report “Fixing the Global Skills Mismatch”, rivela che non solo questo fenomeno ha un costo pari al 6% della produttività mondiale – vale a dire circa 5 mila miliardi di dollari ma che è destinato ad aumentare. Dagli 1,3 miliardi di lavoratori coinvolti in tutto il mondo oggi, si prevede di raggiungere 1,4 miliardi nel 2030.
A ciascuno di noi è capitato di far parte di questo fenomeno. Basti pensare a quante nuove competenze vengono richieste durante il percorso professionale di ciascuno. Ma anche a quanto spesso le soluzioni di formazione aziendale adottate per “colmare il gap” risultino poco efficaci.
Continuando a scorrere il report Bcg si legge che il fenomeno del mismatch è dovuto: «alla distanza tra il mondo del lavoro, sempre più complesso e in trasformazione, e quello della formazione, ancora legato al modello dominante nella seconda metà del XX secolo di un’educazione standardizzata di massa in funzione di un unico posto per tutta la vita».
Ancora un dato per rendersi conto appieno della “portata” del fenomeno: entro il 2022 il 27% degli impieghi riguarderà figure professionali che ancora non esistono. Questo rende ancor più chiaro quanto la formazione tradizionale non possa più essere valutata come strumento di possibile risoluzione del gap esistente tra domanda e offerta del mercato del lavoro.
Come risolvere lo skill mismatch?
Una volta compreso “il problema”, ecco che “Fixing the Global Skills Mismatch” propone anche degli spunti di riflessione e degli elementi chiave che potrebbero rappresentare la via per trovare una soluzione:
1. Personalizzare la formazione
Se è vero che le competenze richieste oggi sono sempre più specifiche e particolari, è altrettanto vero che per formarsi oggi è necessario costruire soluzioni di smart learning che tengano conto degli orientamenti e delle esigenze del singolo individuo.
Formazione Peer-to-Peer, coaching, mobilità sul lavoro sono le parole chiave che devono guidare le aziende verso il futuro.
2. Chiedere aiuto e sapersi adattare:
Una volta che l’azienda renderà chiari (e noti) i “vuoti di competenza” riscontrati, i dipendenti saranno chiamati sempre più spesso a colmarli in modo autonomo e responsabile. È a questo punto che si verifica una trasformazione: chiedere aiuto, quando se ne ha bisogno, non dovrà più essere oggetto di “shaming” ma sarà fondamentale per poter risparmiare tempo (quindi, denaro!), e sviluppare competenze trasversali per stare al passo con le richieste del mercato.
3. Approccio inclusivo e digitale:
Se è vero che la responsabilità della formazione sarà sempre più delegata al singolo che dovrà gestire il mismatch delle competenze del proprio percorso in autonomia, è altrettanto vero che il nuovo compito dell’azienda è quello di offrire soluzioni ai propri dipendenti per garantire work-life balance, assenza di discriminazioni e risorse digitali per la formazione.
Formarsi dunque in autonomia ma anche sapere quali sono le competenze specifiche da colmare e potersi dedicare ad una formazione mirata, efficace e “sartoriale”, senza dimenticare l’importanza di un approccio che non sia semplicemente un “mare di contenuti da imparare” ma che tenga conto dell’elemento “one – to – one” come vero stimolo all’apprendimento; solo così il fenomeno dello skill mismatch potrà realmente trasformarsi da problema in opportunità.